Nessun tema, nessuna guida, liberi tutti: A Healthy Dose of Confusion Before the Bang è una ricerca, un’indagine. O piuttosto la fotografia di un momento. I lavori di Andrea Bocca, Federico Cantale, Andrea Noviello, Leonardo Pellicanò, Sara Ravelli, Giulio Scalisi e Agnese Smaldone sono l’espressione del fermento, tutto italiano, di una nuova generazione di artisti che fanno già sentire la loro voce.
Cresciuto tra campagna e città, Andrea Bocca (Crema, 1996) costruisce il suo immaginario muovendosi fra gli elementi che caratterizzano i luoghi che abita, il contesto rurale si fonde con quello industriale ed urbano creando un magazzino di immagini a cui attingere. La fascinazione per le forme, in particolare di macchinari edili abbandonati ed erosi dal tempo, che come creature mitologiche attraggono e spaventano, permette all’artista di attuare un processo di rielaborazione che passa attraverso il disegno e la riprogettazione delle forme stesse. Rese bidimensionali dal disegno e poi riportate alla tridimensionalità, subiscono un processo di modellazione artigianale. Unititled (Spaceship) parte proprio da questo immaginario sospeso tra mondo rurale ed urbano, in cui le commistioni che si generano fra elementi diversi creano delle visioni. L’opera, un orizzonte di pietra, che evoca una fitta coltre di nebbia impenetrabile, sostiene una forma, una pala da escavatore, in fragile equilibrio e diventa una presenza aliena atterrata davanti a noi.
Federico Cantale (Milano, 1996) unisce nel suo lavoro la leggerezza che deriva dalla seduzione per la cultura pop, veicolata visivamente da un’iconografia fumettistica, citazioni del cinema d’autore e una meticolosa progettazione da architetto. Minestra di pasta mista con pesci di scoglio e crostacei è una scultura in legno laccato con superfici lucide ed opache. Il soggetto nasce da un omonimo piatto dello chef italiano Gennaro Esposito. In un’epoca in cui la cucina è diventata oggetto di attenzione e ricerca, Cantale strizza l’occhio a questa ossessione contemporanea, partendo non da un piatto qualsiasi, ma da una pietanza che a sua volta risponde a una ricerca progettuale simile alla propria. Il lavoro parla di geometria, è una composizione di piccole sculture minimaliste. Uno sguardo attento scoprirà che il caos organico che abbiamo davanti, al limite del figurativo, è falso, costituito da un ordine preciso in cui ogni elemento segue una simmetria. Tutto è geometria e colore, che nella nostra immaginazione, vengono visualizzati in una convincente minestra di pasta.
Nel lavoro di Andrea Noviello (Roma, 1996) le forme create non sono mai forme immaginate, seppur cariche di potere immaginifico, ma catturate dalla realtà. Partendo dal reale, spesso un elemento naturale, Noviello lo elabora, lo plasma, considerando la possibilità di esaltarlo e consentire un nuovo margine di interpretazione. In questo ultimo periodo l’artista ha lavorato ad una serie di sculture nate da crani di animali e l’opera in bronzo presente in mostra, A Sugar Sleep, appartiene a questo corpo di lavori. Noviello ha riplasmato il teschio di un cinghiale, chiudendone tutte le cavità quasi come a volerlo chiudere in sé stesso, come fosse una forma generata intorno a un vuoto. Ma la qualità lucida della finitura del bronzo, riflettendo l’ambiente, le dona una sorta di leggerezza che le consente di aprirsi all’esterno, di rimbalzare lo spazio circostante, fino quasi a riscomparire in esso. Le sculture di Noviello accarezzano la possibilità di creare nuova vita, mantenendo intatta la memoria della forma d’origine: la scultura finita cambia, scevra della materia di partenza, diventa qualcos’altro, conservando intrinsecamente il ricordo di ciò che è stato.
Leonardo Pellicanò (Roma, 1994) esplora, nel processo pittorico, le contraddizioni dell’essere e dell’immaginazione. Il suo lavoro si nutre di una grande ricchezza immaginativa, preoccupandosi allo stesso tempo di rimanere essenziale. La sua ultima produzione è caratterizzata da fondali leggeri che aprono verso grandi spazi, popolati da forme archetipiche e presenze allusive. E’ una pittura che si pone l’obbiettivo di catturare la fugacità del nostro mondo interiore. Il disegno resiste ad un continuo ripensamento, sedimenta forme e subito le dimentica, saltando da un soggetto all’altro. Le sue immagini hanno la fluidità e fragilità di un pensiero passeggero. Questi dipinti si articolano tramite azioni fulminee ed immediate, che mantengono la poesia di un gesto fuggevole, come quello di lanciare della polvere colorata verso una tela. La juta grezza fa sì che il colore sprofondi oltre la superficie, creando atmosfere che rimangono intrappolate nella trama del tessuto.
Con una ricerca sviluppatasi inizialmente da un interesse per il medium fotografico e il suo potenziale comunicativo, il lavoro di Sara Ravelli (Crema, 1993) trova il suo fondamento nella fascinazione per la carica sentimentale degli oggetti e nell’idea di funzionalità compromessa, traumatizzata. La conseguenza formale di questa tensione tra artefatto ed emotività è diventata un movente per riflettere profondamente sulla nozione di tridimensionalità: partendo da interrogativi legati all’immagine, è approdata a un linguaggio scultoreo. L’opera Dozing Mourning presenta sculture in peltro che riproducono parti di corpi animali perse durante i combattimenti o in un tentativo di fuga da un predatore. Poggiano su cuscini che hanno la forma dei cuscini ortopedici, rivestiti di tessuto trapuntato: servono da conforto, sono pronti ad accogliere il corpo. In natura, alcuni animali abbandonano parti del proprio corpo per sopravvivere: il “residuo” è il risultato di un atto violento, ma non letale, anzi, salvifico. Il lavoro nasce da una fascinazione per il rapporto tra predatore e preda, per i rapporti di potere all’interno delle relazioni. I corpi umano ed animale hanno una forte presenza, entrambi vengono considerati nella loro condizione di malattia e debolezza.
Giulio Scalisi (Salemi, 1992) è un artista multimediale che si confronta con il presente, fatto di flussi ininterrotti di immagini e di continui cambiamenti e si interroga sul ruolo dell’artista contemporaneo. Il suo lavoro prende forma attraverso l’uso di molteplici media, tra i quali video, fumetti, installazioni o disegni. Nella sua pratica prova a osservare le proprie emozioni, cosciente del fatto che l’individuo altro non è che la somma di forze estranee all’Io, forze che ci spingono a desiderare, che manovrano i nostri stati d’animo, ed è lo studio di queste pulsioni l’argomento principale del suo lavoro.L’opera che Scalisi ci presenta, We hold on to things, not realizing they are already gone, è la stampa 3D di una mano, delle stesse dimensioni di quella dell’artista, contenente un omuncolo che muove un sentimento che oscilla tra la tenerezza e il raccapriccio. Sopra la mano un paio di occhi osservano fissamente la creatura.
Agnese Smaldone (Milano, 1996) propone una pittura fortemente influenzata sia da oggetti e situazioni del quotidiano che dal proprio mondo interiore. All’interno del lavoro le immagini appaiono sintetiche ed immediate, ma le narrazioni che suggeriscono rimangono frammentate, non esplicite. Si delineano così una miriade di scenari appartenenti ad una condizione interiore, della quale tentano di tradurre e comunicare la complessità. I titoli delle due opere in mostra, Nausea e Fitta, evocano una sensazione di sofferenza, in entrambi è presente un personaggio antropomorfo, il cui corpo contorto e sproporzionato sembra stare a fatica entro i confini della tela. Intorno ai quadri tessuti ornati di fiocchi e toppe colorate riprendono alcuni elementi del dipinto, il motivo delle lenzuola sulle quali giace la figura ed i cuori che decorano lo stivale escono dall’immagine pittorica per diventare morbide cornici.